sabato 21 novembre 2015

Gli sconvolgimenti della nuova fisica cap. I - Fisica classica

Oggi è il 21/11/15 ed esattamente 110 anni fa Albert Einstein pubblicava la sua Teoria della Relatività Speciale; quest'anno è anche il 100esimo anniversario della sua Teoria della Relatività Generale (1915).
Due straordinarie imprese intellettuali che sconvolsero per sempre il "vecchio" modo di fare scienza e di pensare alla natura delle cose. Due ottimi motivi per aprire una nuova serie di post (chissà mai quando le chiuderò tutte..) in cui vorrei mettere a confronto il "vecchio" modo di pensare la scienza e il metodo scientifico (le virgolette sono dovute al fatto che, nei termini e nel senso comune, il vecchio è tranquillamente ancora il contemporaneo modo di pensare) con il "nuovo", contemporaneo. Nel fare tutto ciò ringrazio 100, 1000 volte Fritjof Capra, autore dello splendido, illuminante, imprescindibile "Il Tao della Fisica" (Adelphi, 1982), di cui copio e riassumo alcune parti.

Trovo molto affascinante il fatto che siano esisti modi di pensare e di agire nella scienza che, a parte qualche piccola divagazione, sono rimasti sempre gli stessi nel corso di tanti secoli o comunque animati dalle medesime necessità e poi, con l'arrivo delle scoperte del XX secolo, siano stati completamente rivoluzionati, al punto da mettere in dubbio il senso stesso della parola scienza e del metodo scientifico.
Cito Heisenberg, fisico tedesco padre del noto principio di indeterminazione, da cui Walter White ha preso in prestito il nome: "La violenta reazione ai recenti sviluppi della fisica moderna può essere compresa soltanto se ci si rende conto che questa volta hanno cominciato a cedere i fondamenti stessi della fisica".
Cito Einstein, che provò la stessa impressione quando venne a contatto per la prima volta con la nuova realtà della fisica atomica: "Tutti i miei tentativi di adattare i fondamenti teorici della fisica a queste (nuove) acquisizioni fallirono completamente. Era come se ci fosse mancata la terra sotto i piedi..."
Questo perché le scoperte della fisica moderna rendevano indispensabili profondi cambiamenti in concetti quali spazio, tempo, materia, causa ed effetto, ecc..., da cui poi sarebbe emersa una nuova e radicalmente diversa concezione del mondo che è tuttora in corso di formazione!

Prima di tutto è però interessante capire "da dove veniamo" come si suol dire, ovvero quali sono quelle concezioni "obsolete" (secondo la nuova fisica) che non possono essere più accettate come realtà oggettive o sono state comunque superate, cioè la cosiddetta fisica classica; la cosa interessante che scopriremo è che queste concezioni hanno formato a tal punto la nostra mente, l'organizzazione e la razionalizzazione delle cose (quantomeno nel mondo occidentale) che tuttora restano l'architrave del nostro pensiero razionale.
Ma questo non è del tutto fuori luogo, anzi.
La fisica classica è di derivazione empirica (vedo un fenomeno, lo analizzo, invento un modello teorico a cui esso risponde, valido il modello con altri esempi) e perciò risponde perfettamente ai problemi di tipo "macroscopico", in quel range delle "medie dimensioni" in cui la fisica inserisce l'uomo e gli oggetti di cui è circondato; non solo: la fisica classica è in grado di spiegare perfettamente le leggi di gravità e del moto dei pianeti; è infine la base scientifica su cui è stato costruito il progresso tecnologico dell'uomo, influenzandone ampiamente la storia e la qualità della vita. E' stata superata dalle teorie successive, che non ne hanno mai messo in discussione la validità in quel range d'azione che ho descritto prima (peraltro il più importante ai fini pratici: è il NOSTRO!).
Eppure agli inizi del XX secolo la concezione meccanicistica classica fu abbandonata, quando la meccanica quantistica e la teoria della relatività (ovvero le due fondamentali teorie della fisica moderna)  costrinsero i fisici ad adottare una nuova concezione della natura molto più raffinata, che potremmo definire olistica ed "organicistica" per utilizzare le parole di Capra (si legga: la natura è molto meno divisoria e classificata di quanto non la pensi l'uomo per studiarla...)

Per fisica classica si intende la scienza costruita sul modello meccanicistico dell'universo ideato da Newton, una colonna portante formidabile che ha sorretto tutta la scienza e la filosofia naturale per almeno tre secoli.
Lo scenario in cui avevano luogo tutti i fenomeni fisici erano, secondo questo modello:

- lo spazio tridimensionale
- la geometria euclidea

concetti matematico-geometrici intuitivi prima che semplici, poiché ne facciamo uso in maniera più o meno inconscia tutti i giorni. Questo spazio era, secondo Newton, assoluto, sempre immobile, immutabile. Tutti i mutamenti che si verificavano erano descritti in funzione di un'entità separata rispetto allo spazio, che non aveva alcun legame col mondo materiale e che fluiva incessantemente dal passato al futuro attraverso il presente: il tempo, anch'esso assoluto. La concezione di tempo assoluto è forse la più radicata nella nostra forma mentis: il tempo che scorre sulla Terra è identico a quello che scorre su Marte (...o no?).
Questo per dire che gli elementi di base del modello newtoniano sono elementi comuni a tutti e ben comprensibili a causa di un corrispettivo esatto presente nella nostra vita.

Il concetto di materia secondo Newton era molto simile a quello degli atomisti greci (Democrito e seguaci): fatta di oggetti piccoli, solidi e indistruttibili. Da qui nascono le conseguenti identificazioni di pieno diverso da vuoto, di materia diversa da spazio e il fatto che questi elementi costituenti, queste particelle, rimanevano identiche a se stesse, non modificando la propria massa o forma. La materia è inerte e si conserva.
L'importante, fondamentale rivelazione di Newton rispetto agli atomisti greci è la sua precisa descrizione della forza che agisce tra queste particelle, una forza molto semplice, che dipende solo dalle masse e dalla reciproca distanza tra le particelle: la forza di gravità.
Per Newton questa forza è connessa esclusivamente agli oggetti su cui agisce, la sua azione è istantanea a qualsiasi distanza; il che è abbastanza singolare, ma di più su questo Newton non dice. E per i suoi tempi (fine seicento) forse aveva anche ragione: per Newton le particelle e le forze erano create da Dio e non potevano essere sottoposte a ulteriori analisi. Tutti gli eventi fisici riguardano moti di oggetti nello spazio, causati da un'attrazione reciproca di gravità.

Ora, a livello concettuale ci siamo (la solita mela che cade, ecc...) ma a livello matematico? Un fenomeno scientifico non può essere definito tale se non viene "astratto" in forma matematica; la genialità incomparabile di Newton è infatti questa: aver espresso in forma matematica il suo modo di vedere i fenomeni fisici. Per farlo, si inventò nuovi concetti matematici, come le tecniche del calcolo differenziale, che Einstein stesso definirà "forse il più grande progresso nel pensiero che un singolo individuo sia mai stato in grado di compiere". Einstein... mica Scilipoti!
Le equazioni di Newton sono le basi della meccanica classica, considerate immutabili e in grado di spiegare tutti i cambiamenti osservabili. L'Universo intero è una creazione divina, posta in movimento e governata da leggi immutabili. Questo pensiero scientifico ha importanti implicazioni filosofiche: tutto ciò che avviene ha una causa definita, che dà luogo a un effetto definito, perciò teoricamente prevedibile! Le basi di questi ragionamenti stanno in Aristotele innanzitutto e nel determinismo di Cartesio in secondo luogo: una divisione tra l'Io e il mondo che, come conseguenza, permette di descrivere il mondo in termini oggettivi e senza mai tener conto dell'osservatore umano.
Non solo, tutto ciò trova il suo riscontro empirico grazie al lavoro di Laplace, che perfezionò la matematica di Newton e coi suoi cinque volumi del Traité de mécanique céleste riuscì a spiegare i moti dei pianeti, della luna e delle comete sin nei minimi dettagli, dimostrando che le leggi di Newton assicuravano stabilità al sistema solare, come se esso fosse una gigantesca macchina capace di autoregolarsi.

Incoraggiati dai grandi successi in astronomia della meccanica newtoniana, i fisici la applicarono nei secoli al moto dei fluidi, alle vibrazioni dei corpi elastici e alla teoria del calore, con ottimi risultati; il che li portò a pensare, nell'ottocento, che Newton e Laplace avessero davvero ragione a definire l'universo in quei termini.
Ma fu proprio alla fine di quel secolo che la scoperta di una nuova realtà fisica rese evidenti i limiti del modello newtoniano, preparando così il campo alle rivoluzionarie scoperte di inizio novecento.
Ciò avvenne in maniera graduale e partì dallo studio sui fenomeni elettrici e magnetici: essi non potevano essere spiegati adeguatamente dal modello newtoniano e comportavano l'esistenza di un nuovo tipo di forza.
Ciò fu scoperto da due luminari della fisica Faraday e Maxwell. Il primo riuscì a convertire il lavoro (meccanico) necessario per far muovere una calamita in energia elettrica; al di là delle enormi implicazioni sulla tecnologia dell'ingegneria elettrica (il mondo come lo conosciamo oggi deve qualcosa a questo signore...) diede il via alla stesura della teoria dell'elettromagnetismo da parte di Maxwell, che sostituì il concetto di forza con quello di campo di forze: una carica negativa non attrae una positiva seguendo il modello di Newton (tipo Terra che attira la Luna per gravità), ma perché crea una perturbazione nello spazio circostante (il campo elettrico) tale che un'altra carica, se presente, si comporta come se avvertisse una forza.

Il campo è generato da una singola carica ed esiste indipendentemente dal fatto che un'altra carica sia presente o meno. Un cambiamento sconcertante nella concezione della fisica: le forze, per Newton, sono rigidamente connesse ai corpi materiali. Qui i campi possono essere studiati senza riferirsi alla materia!
Al punto più alto di questa teoria c'è la definizione della luce: è un campo elettromagnetico che oscilla e si sposta nello spazio sottoforma di onda.
Per Maxwell, figlio di secoli di cultura scientifica newtoniana (vien da pensare che se  avesse vissuto ai tempi di Galileo probabilmente sarebbe stato costretto ad abiurare la sua teoria...), dev'essere stato un bel grattacapo: come interpretare le nuove scoperte (i campi) secondo il modello meccanicistico? Impegnò buona parte della sua vita a provare a farlo, ma non riuscì ad abbracciare nessuna nuova teoria che potesse aggiustare questo "errore": in cuor suo probabilmente aveva capito che i campi sono un'entità fisica a sé stante, non spiegabili meccanicisticamente.
Da qui cominciano a vacillare non solo secoli di teorie (e credenze) scientifiche, ma anche il nostro modo di "concettualizzare" la fisica, di esprimerla a parole: una forza (soprattutto quella di gravità) ce la possiamo ben figurare in testa...ma un campo? Cos'è? E quali immagini potremmo utilizzare per descriverlo efficacemente?
Fu proprio Albert Einstein, quasi cinquant'anni dopo, a riconoscere e dimostrare la natura non meccanicistica dei campi, disponendo, a inizio '900, non più di un solo modello ma di due modelli (meccanica di Newton ed elettrodinamica di Maxwell) per descrivere fenomeni differenti...

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