Oggi è il 21/11/15 ed esattamente 110 anni fa Albert Einstein pubblicava la sua Teoria della Relatività Speciale; quest'anno è anche il 100esimo anniversario della sua Teoria della Relatività Generale (1915).
Due straordinarie imprese intellettuali che sconvolsero per sempre il "vecchio" modo di fare scienza e di pensare alla natura delle cose. Due ottimi motivi per aprire una nuova serie di post (chissà mai quando le chiuderò tutte..) in cui vorrei mettere a confronto il "vecchio" modo di pensare la scienza e il metodo scientifico (le virgolette sono dovute al fatto che, nei termini e nel senso comune, il vecchio è tranquillamente ancora il contemporaneo modo di pensare) con il "nuovo", contemporaneo. Nel fare tutto ciò ringrazio 100, 1000 volte Fritjof Capra, autore dello splendido, illuminante, imprescindibile "Il Tao della Fisica" (Adelphi, 1982), di cui copio e riassumo alcune parti.
Trovo molto affascinante il fatto che siano esisti modi di pensare e di agire nella scienza che, a parte qualche piccola divagazione, sono rimasti sempre gli stessi nel corso di tanti secoli o comunque animati dalle medesime necessità e poi, con l'arrivo delle scoperte del XX secolo, siano stati completamente rivoluzionati, al punto da mettere in dubbio il senso stesso della parola scienza e del metodo scientifico.
Cito Heisenberg, fisico tedesco padre del noto principio di indeterminazione, da cui Walter White ha preso in prestito il nome: "La violenta reazione ai recenti sviluppi della fisica moderna può essere compresa soltanto se ci si rende conto che questa volta hanno cominciato a cedere i fondamenti stessi della fisica".
Cito Einstein, che provò la stessa impressione quando venne a contatto per la prima volta con la nuova realtà della fisica atomica: "Tutti i miei tentativi di adattare i fondamenti teorici della fisica a queste (nuove) acquisizioni fallirono completamente. Era come se ci fosse mancata la terra sotto i piedi..."
Questo perché le scoperte della fisica moderna rendevano indispensabili profondi cambiamenti in concetti quali spazio, tempo, materia, causa ed effetto, ecc..., da cui poi sarebbe emersa una nuova e radicalmente diversa concezione del mondo che è tuttora in corso di formazione!
Prima di tutto è però interessante capire "da dove veniamo" come si suol dire, ovvero quali sono quelle concezioni "obsolete" (secondo la nuova fisica) che non possono essere più accettate come realtà oggettive o sono state comunque superate, cioè la cosiddetta fisica classica; la cosa interessante che scopriremo è che queste concezioni hanno formato a tal punto la nostra mente, l'organizzazione e la razionalizzazione delle cose (quantomeno nel mondo occidentale) che tuttora restano l'architrave del nostro pensiero razionale.
Ma questo non è del tutto fuori luogo, anzi.
La fisica classica è di derivazione empirica (vedo un fenomeno, lo analizzo, invento un modello teorico a cui esso risponde, valido il modello con altri esempi) e perciò risponde perfettamente ai problemi di tipo "macroscopico", in quel range delle "medie dimensioni" in cui la fisica inserisce l'uomo e gli oggetti di cui è circondato; non solo: la fisica classica è in grado di spiegare perfettamente le leggi di gravità e del moto dei pianeti; è infine la base scientifica su cui è stato costruito il progresso tecnologico dell'uomo, influenzandone ampiamente la storia e la qualità della vita. E' stata superata dalle teorie successive, che non ne hanno mai messo in discussione la validità in quel range d'azione che ho descritto prima (peraltro il più importante ai fini pratici: è il NOSTRO!).
Eppure agli inizi del XX secolo la concezione meccanicistica classica fu abbandonata, quando la meccanica quantistica e la teoria della relatività (ovvero le due fondamentali teorie della fisica moderna) costrinsero i fisici ad adottare una nuova concezione della natura molto più raffinata, che potremmo definire olistica ed "organicistica" per utilizzare le parole di Capra (si legga: la natura è molto meno divisoria e classificata di quanto non la pensi l'uomo per studiarla...)
Per fisica classica si intende la scienza costruita sul modello meccanicistico dell'universo ideato da Newton, una colonna portante formidabile che ha sorretto tutta la scienza e la filosofia naturale per almeno tre secoli.
Lo scenario in cui avevano luogo tutti i fenomeni fisici erano, secondo questo modello:
- lo spazio tridimensionale
- la geometria euclidea
concetti matematico-geometrici intuitivi prima che semplici, poiché ne facciamo uso in maniera più o meno inconscia tutti i giorni. Questo spazio era, secondo Newton, assoluto, sempre immobile, immutabile. Tutti i mutamenti che si verificavano erano descritti in funzione di un'entità separata rispetto allo spazio, che non aveva alcun legame col mondo materiale e che fluiva incessantemente dal passato al futuro attraverso il presente: il tempo, anch'esso assoluto. La concezione di tempo assoluto è forse la più radicata nella nostra forma mentis: il tempo che scorre sulla Terra è identico a quello che scorre su Marte (...o no?).
Questo per dire che gli elementi di base del modello newtoniano sono elementi comuni a tutti e ben comprensibili a causa di un corrispettivo esatto presente nella nostra vita.
Il concetto di materia secondo Newton era molto simile a quello degli atomisti greci (Democrito e seguaci): fatta di oggetti piccoli, solidi e indistruttibili. Da qui nascono le conseguenti identificazioni di pieno diverso da vuoto, di materia diversa da spazio e il fatto che questi elementi costituenti, queste particelle, rimanevano identiche a se stesse, non modificando la propria massa o forma. La materia è inerte e si conserva.
L'importante, fondamentale rivelazione di Newton rispetto agli atomisti greci è la sua precisa descrizione della forza che agisce tra queste particelle, una forza molto semplice, che dipende solo dalle masse e dalla reciproca distanza tra le particelle: la forza di gravità.
Per Newton questa forza è connessa esclusivamente agli oggetti su cui agisce, la sua azione è istantanea a qualsiasi distanza; il che è abbastanza singolare, ma di più su questo Newton non dice. E per i suoi tempi (fine seicento) forse aveva anche ragione: per Newton le particelle e le forze erano create da Dio e non potevano essere sottoposte a ulteriori analisi. Tutti gli eventi fisici riguardano moti di oggetti nello spazio, causati da un'attrazione reciproca di gravità.
Ora, a livello concettuale ci siamo (la solita mela che cade, ecc...) ma a livello matematico? Un fenomeno scientifico non può essere definito tale se non viene "astratto" in forma matematica; la genialità incomparabile di Newton è infatti questa: aver espresso in forma matematica il suo modo di vedere i fenomeni fisici. Per farlo, si inventò nuovi concetti matematici, come le tecniche del calcolo differenziale, che Einstein stesso definirà "forse il più grande progresso nel pensiero che un singolo individuo sia mai stato in grado di compiere". Einstein... mica Scilipoti!
Le equazioni di Newton sono le basi della meccanica classica, considerate immutabili e in grado di spiegare tutti i cambiamenti osservabili. L'Universo intero è una creazione divina, posta in movimento e governata da leggi immutabili. Questo pensiero scientifico ha importanti implicazioni filosofiche: tutto ciò che avviene ha una causa definita, che dà luogo a un effetto definito, perciò teoricamente prevedibile! Le basi di questi ragionamenti stanno in Aristotele innanzitutto e nel determinismo di Cartesio in secondo luogo: una divisione tra l'Io e il mondo che, come conseguenza, permette di descrivere il mondo in termini oggettivi e senza mai tener conto dell'osservatore umano.
Non solo, tutto ciò trova il suo riscontro empirico grazie al lavoro di Laplace, che perfezionò la matematica di Newton e coi suoi cinque volumi del Traité de mécanique céleste riuscì a spiegare i moti dei pianeti, della luna e delle comete sin nei minimi dettagli, dimostrando che le leggi di Newton assicuravano stabilità al sistema solare, come se esso fosse una gigantesca macchina capace di autoregolarsi.
Incoraggiati dai grandi successi in astronomia della meccanica newtoniana, i fisici la applicarono nei secoli al moto dei fluidi, alle vibrazioni dei corpi elastici e alla teoria del calore, con ottimi risultati; il che li portò a pensare, nell'ottocento, che Newton e Laplace avessero davvero ragione a definire l'universo in quei termini.
Ma fu proprio alla fine di quel secolo che la scoperta di una nuova realtà fisica rese evidenti i limiti del modello newtoniano, preparando così il campo alle rivoluzionarie scoperte di inizio novecento.
Ciò avvenne in maniera graduale e partì dallo studio sui fenomeni elettrici e magnetici: essi non potevano essere spiegati adeguatamente dal modello newtoniano e comportavano l'esistenza di un nuovo tipo di forza.
Ciò fu scoperto da due luminari della fisica Faraday e Maxwell. Il primo riuscì a convertire il lavoro (meccanico) necessario per far muovere una calamita in energia elettrica; al di là delle enormi implicazioni sulla tecnologia dell'ingegneria elettrica (il mondo come lo conosciamo oggi deve qualcosa a questo signore...) diede il via alla stesura della teoria dell'elettromagnetismo da parte di Maxwell, che sostituì il concetto di forza con quello di campo di forze: una carica negativa non attrae una positiva seguendo il modello di Newton (tipo Terra che attira la Luna per gravità), ma perché crea una perturbazione nello spazio circostante (il campo elettrico) tale che un'altra carica, se presente, si comporta come se avvertisse una forza.
Il campo è generato da una singola carica ed esiste indipendentemente dal fatto che un'altra carica sia presente o meno. Un cambiamento sconcertante nella concezione della fisica: le forze, per Newton, sono rigidamente connesse ai corpi materiali. Qui i campi possono essere studiati senza riferirsi alla materia!
Al punto più alto di questa teoria c'è la definizione della luce: è un campo elettromagnetico che oscilla e si sposta nello spazio sottoforma di onda.
Per Maxwell, figlio di secoli di cultura scientifica newtoniana (vien da pensare che se avesse vissuto ai tempi di Galileo probabilmente sarebbe stato costretto ad abiurare la sua teoria...), dev'essere stato un bel grattacapo: come interpretare le nuove scoperte (i campi) secondo il modello meccanicistico? Impegnò buona parte della sua vita a provare a farlo, ma non riuscì ad abbracciare nessuna nuova teoria che potesse aggiustare questo "errore": in cuor suo probabilmente aveva capito che i campi sono un'entità fisica a sé stante, non spiegabili meccanicisticamente.
Da qui cominciano a vacillare non solo secoli di teorie (e credenze) scientifiche, ma anche il nostro modo di "concettualizzare" la fisica, di esprimerla a parole: una forza (soprattutto quella di gravità) ce la possiamo ben figurare in testa...ma un campo? Cos'è? E quali immagini potremmo utilizzare per descriverlo efficacemente?
Fu proprio Albert Einstein, quasi cinquant'anni dopo, a riconoscere e dimostrare la natura non meccanicistica dei campi, disponendo, a inizio '900, non più di un solo modello ma di due modelli (meccanica di Newton ed elettrodinamica di Maxwell) per descrivere fenomeni differenti...
Questa piattaforma vuole essere un punto di incontro tra persone che coltivano la propria curiosità in maniera totalmente gratuita, appagate dalla soddisfazione ricevuta dal comprendere qualcosa. Un punto di incontro, ma anche un "motore di ricerca" nello sconfinato universo del web, attraverso cui desidero captare intelligenze a me sconosciute, come un radar appunto. Parlo di musica, il tema che più mi è famigliare, ma anche di scienze, storia, cinema, sport, politica, economia, arte...
sabato 21 novembre 2015
mercoledì 18 novembre 2015
Tecniche cinematografiche: Rainer Werner Fassbinder
Ci sono alcuni ottimi motivi per ritenersi fortunati di abitare a Ferrara. Uno di questi è sicuramente il ciclo di conferenze promosso dall'Associazione Feedback, che si occupa di cinema e fotografia, grazie al quale è possibile ascoltare alcuni esperti e/o appassionati del settore parlare di registi noti e meno noti, ma in ogni caso di grandissimo spessore, per i quali è difficile formarsi un'opinione adeguata attraverso la semplice visione delle loro opere.
In questo periodo le conferenze trattano parallelamente due filoni: il cinema greco e quello tedesco, in una "contrapposizione" che prende spunto da quella attuale. Meno noto il primo, di più il secondo, l'ultima parte di questo ciclo riguarda i tre massimi esponenti del cosiddetto "nuovo cinema tedesco": Wim Wenders, Werner Herzog e Rainer Werner Fassbinder.
La conferenza su Fassbinder è stata condotta dal professor Sandro Sproccati dell'Accademia delle Belle Arti di Bologna, del quale avevo già sentito un paio di illuminanti conferenze (su Jean Vigo e su Elio Petri) sempre grazie alla Feedback. Splendida anche quella sul regista tedesco, della quale voglio riportare gli spunti che meglio ho filtrato.
Elementi essenziali
Fassbinder ha prodotto oltre trenta film in meno di vent'anni, prima che la sua vita fosse stroncata da un'overdose di cocaina che complicò definitivamente la sua salute già messa a dura prova da una vita spericolata.
Il suo primo lungometraggio si chiama "L'amore è più freddo della morte". Spesso la sua poetica si è diretta verso l'impossibilità di costruire rapporti amoroso-sessuali "definitivi" (si legga matrimonio) nell'era contemporanea, dominata dal mercato e dalla necessità di accumulare denaro; questa necessità è entrata talmente tanto nella nostra vita da influenzarla al punto che è impossibile accorgersi del suo dominio sul nostro agire. Il matrimonio è visto da Fassbinder in maniera sempre pessimista, una gabbia autodistruttiva che è frutto di un'idea borghese di convivenza e che però spezza completamente le velleità naturali e positive di costruzione di un rapporto sincero e benefico. Nei suoi film gli sposi sono vittime, uccidono e/o si suicidano, mentono al partner, a se stessi e ai figli, si associano per convenienza, si lasciano quando le bugie sono ormai troppo evidenti o quando il benessere materiale si è esaurito. Eppure, spesso, il tutto parte con buone intenzioni; la fine è solo una naturale conseguenza di qualcosa marcio in partenza o di un normalissimo andamento delle vicissitudini umane, in quanto così inconsciamente prese da un falso obiettivo (il bene mobile per eccellenza, il denaro) da produrre tragedie.
L'attacco ai "valori tradizionali" e all'ipocrisia della borghesia però non è così sfacciatamente evidente, come in molti film di registi a lui contemporanei (basti pensare, appunto, a Wim Wenders); Fassbinder è ad esempio lontano (non concettualmente, quanto piuttosto esteticamente) al neorealismo italiano, una corrente "maestra" nel denunciare scandali sociali e allo stesso tempo nello scoprire quanto il linguaggio cinematografico potesse essere un'arma universalmente potente per sensibilizzare la collettività (concetto ancor più prezioso se si pensa al tasso di analfabetizzazione nell'Italia del dopoguerra). La sua critica è sottile e tagliente, al punto da essere forse ancor più efficace, frutto di un'ingegnoso, sperimentale ed innovativo utilizzo delle tecniche cinematografiche.
Non bisogna poi pensare che essa fosse motivata dal suo orientamento sessuale (era omosessuale) in risposta ad una società bigotta: la Baviera del dopoguerra era sì una terra cattolica, ma niente a che vedere con l'Italia del dopoguerra.
Le lacrime amare di Petra von Kant (1972)
Copio da wiki: Petra Von Kant è una famosa stilista che vive sola con Marlene, la sua assistente apparentemente muta, la quale accetta i maltrattamenti e la severità della "padrona" senza battere ciglio. I due matrimoni di Petra sono finiti con la morte del primo marito e con il divorzio dal secondo; entrambi la hanno segnata profondamente. Un'amica le fa conoscere Karin, una ragazza giovane e bellissima, della quale Petra si innamora profondamente. Le due portano avanti una relazione ma col tempo Karin è sempre più fredda e crudele, e inizia a trattare Petra con sadismo, così come ella fa con Marlene. Ad un certo punto Karin lascia Petra per un uomo e questa cade in una profonda disperazione.
La domanda che bisogna porsi prima di vedere la seguente, cruciale scena del film è: quali sono le peculiarità del linguaggio cinematografico rispetto a quello letterario? Per esempio: come possono uno scrittore e un regista descrivere una persona che sta mentendo ad un'altra? Per quanto riguarda il primo, esso può ricorrere ad un narratore onniscente e, dopo che il personaggio ha terminato il suo racconto menzognero, scrivere ad esempio "Mentiva, sapendo di mentire." Noi lettori leggeremmo tutto ciò e capiremmo in maniera molto naturale ciò che l'autore vuole comunicarci.
Da questo punto di vista il linguaggio cinematografico è meno potente. E' possibile anche in questo caso inserire una voce fuori campo che, su un fermo immagine della protagonista, ci dice esattamente la stessa cosa. Risulterebbe però, al contrario del libro, notevolmente più pesante (ed è il motivo per cui molto spesso i narratori onniscenti nei film in realtà sono personaggi del film stesso) oltre che banale.
In questa scena Petra sta spiegando all'amica com'è terminato il suo secondo matrimonio. Guardiamo prima la scena e poi vediamo di commentarla. Purtroppo sono riuscito a trovare solo il film (quantomeno in HD) in ungherese, ma sottotitolato in inglese. La scena va da 21.39 a 30.20. Per inserire i sottotitoli è necessario cliccare sull'icona della rotella in basso a destra.
Da notare immediatamente l'utilizzo dello specchio (tecnica che userà anche in altri film), che ci permette di vedere sia il volto di Petra che dell'amica, attonita dopo la notizia, in un'unica sequenza, senza dover operare stacchi di montaggio. E ci fa capire, anche dall'abbigliamento, come Petra, che sembrava così legata al marito, sia in realtà disinibita e libertina, a differenza dell'amica, ben più bigotta, avvolta nel suo bigotto visone vero. Seguendo il dialogo ci riconduciamo all'iniziale discorso sull'illusione dei rapporti e del matrimonio, che fallisce non tanto per motivi "pratici" come il tradimento, in quanto i due cercavano il piacere reciproco sopra ogni cosa, quanto per motivi che verrano spiegati dopo.
Eppure, proprio mentre Petra dice che la rottura non è dovuta a eventi o persone esterne (22.53), giunge proprio una persona esterna alla scena, ovvero l'assistente. Questo arrivo è ben sottolineato da entrambe le protagoniste: via lo specchio che ci dava le immagini di entrambe, sguardi puntati su di lei, telecamera che indugia sul suo volto. Coincidenze?
Il tè viene servito e "l'intrusa" si rimette al lavoro in secondo piano. Il discorso tra le due prosegue, con Petra che insiste nel dire che non c'è motivo di proseguire una relazione se i partner devono costringersi in cliché, in "ruoli" e che si è spezzato in realtà un sogno di voler rendere perfetto un amore, a cui seguono le finto-realistiche quanto bigotte (l'ho già detto?) risposte dell'amica.
Ed ecco che a 27.19 parte un geniale, lentissimo carrello, che progressivamente inserisce l'inserviente-disegnatrice in mezzo alle due protagoniste, al punto che, a 28.31, giunge al suo culmine, con l'amica che si riposa sul letto in realtà per far vedere nella stessa inquadratura Petra e l'inserviente. Noi sappiamo che Petra sta parlando all'amica, il suo sguardo è rivolto in basso a sinistra, eppure, nella scena, che dura alcuni minuti, c'è anche l'inserviente, teoricamente estranea. Perché?
Proprio mentre Petra sta spiegando i motivi che hanno portato al divorzio, ecco che l'inserviente diventa protagonista, smettendo di dipingere e girandosi verso di lei (29.18), con la camera che pian piano va a catturare il suo sguardo avvilito. E da qui, noi capiamo che Petra sta mentendo all'amica.
Guardando il resto della pellicola, capiremo il reale orientamento sessuale di Petra (omosessuale) e che la vera causa del suo divorzio è stato proprio questo: una relazione clandestina con la sua inserviente (donna).
La chiusa di questa scena magistrale è però il vero capolavoro. A 30.01 c'è uno stacco focale molto evidente, sfoca l'inserviente e ci riporta (dopo qualche secondo) sul volto di Petra perfettamente a fuoco; teoricamente questo sarebbe un enorme errore tecnico, un po' come guardare in camera per l'attore. O lo stacco è rapido, oppure si toglie il fuoco dall'inserviente e si passa a Petra anch'essa sfocata, per poi rimetterle il fuoco successivamente, ma non si toglie il fuoco per un lungo tempo da un personaggio e si stacca su un altro perfettamente a fuoco!
Ovviamente non si tratta di un errore, ma di un espediente cinematografico (impossibile con il linguaggio letterario) a dimostrare quanto a Petra, che sa bene il vero motivo del divorzio, non interessi minimamente la sua inserviente con cui ha avuto una relazione; la sua sfacciataggine è evidente nelle parole che sta rivolgendo all'amica (bugie), la durezza del suo cuore lo è in questo splendido passaggio focale.
Fassbinder, con due tecniche semplicissime e note sin dagli albori del cinema (movimento di camera e inquadratura dei personaggi), utilizzate però in maniera straordinariamente sapiente ed innovativa, coglie gli aspetti peculiari del linguaggio cinematografico, esaltandolo, rendendolo univoco, raffinato e potente.
Martha (1974)
Wikipedia: Marta è una giovane donna che lavora presso la biblioteca di Costanza, in Germania. Durante un viaggio in Italia rimane orfana del padre che si accascia, colpito da infarto, sulla scalinata di Trinità dei Monti. Poco dopo intravede un uomo di sfuggita. Il loro sguardo, che si incrocia per un attimo, fissa il triste destino dell'ignara Martha.
Una delle scene più note girate da Fassbinder è proprio l'incontro iniziale tra i due protagonisti, a cui seguirà una tragica storia d'amore sadomasochista.
In questo periodo le conferenze trattano parallelamente due filoni: il cinema greco e quello tedesco, in una "contrapposizione" che prende spunto da quella attuale. Meno noto il primo, di più il secondo, l'ultima parte di questo ciclo riguarda i tre massimi esponenti del cosiddetto "nuovo cinema tedesco": Wim Wenders, Werner Herzog e Rainer Werner Fassbinder.
La conferenza su Fassbinder è stata condotta dal professor Sandro Sproccati dell'Accademia delle Belle Arti di Bologna, del quale avevo già sentito un paio di illuminanti conferenze (su Jean Vigo e su Elio Petri) sempre grazie alla Feedback. Splendida anche quella sul regista tedesco, della quale voglio riportare gli spunti che meglio ho filtrato.
Elementi essenziali
Fassbinder ha prodotto oltre trenta film in meno di vent'anni, prima che la sua vita fosse stroncata da un'overdose di cocaina che complicò definitivamente la sua salute già messa a dura prova da una vita spericolata.
Il suo primo lungometraggio si chiama "L'amore è più freddo della morte". Spesso la sua poetica si è diretta verso l'impossibilità di costruire rapporti amoroso-sessuali "definitivi" (si legga matrimonio) nell'era contemporanea, dominata dal mercato e dalla necessità di accumulare denaro; questa necessità è entrata talmente tanto nella nostra vita da influenzarla al punto che è impossibile accorgersi del suo dominio sul nostro agire. Il matrimonio è visto da Fassbinder in maniera sempre pessimista, una gabbia autodistruttiva che è frutto di un'idea borghese di convivenza e che però spezza completamente le velleità naturali e positive di costruzione di un rapporto sincero e benefico. Nei suoi film gli sposi sono vittime, uccidono e/o si suicidano, mentono al partner, a se stessi e ai figli, si associano per convenienza, si lasciano quando le bugie sono ormai troppo evidenti o quando il benessere materiale si è esaurito. Eppure, spesso, il tutto parte con buone intenzioni; la fine è solo una naturale conseguenza di qualcosa marcio in partenza o di un normalissimo andamento delle vicissitudini umane, in quanto così inconsciamente prese da un falso obiettivo (il bene mobile per eccellenza, il denaro) da produrre tragedie.
L'attacco ai "valori tradizionali" e all'ipocrisia della borghesia però non è così sfacciatamente evidente, come in molti film di registi a lui contemporanei (basti pensare, appunto, a Wim Wenders); Fassbinder è ad esempio lontano (non concettualmente, quanto piuttosto esteticamente) al neorealismo italiano, una corrente "maestra" nel denunciare scandali sociali e allo stesso tempo nello scoprire quanto il linguaggio cinematografico potesse essere un'arma universalmente potente per sensibilizzare la collettività (concetto ancor più prezioso se si pensa al tasso di analfabetizzazione nell'Italia del dopoguerra). La sua critica è sottile e tagliente, al punto da essere forse ancor più efficace, frutto di un'ingegnoso, sperimentale ed innovativo utilizzo delle tecniche cinematografiche.
Non bisogna poi pensare che essa fosse motivata dal suo orientamento sessuale (era omosessuale) in risposta ad una società bigotta: la Baviera del dopoguerra era sì una terra cattolica, ma niente a che vedere con l'Italia del dopoguerra.
Le lacrime amare di Petra von Kant (1972)
Copio da wiki: Petra Von Kant è una famosa stilista che vive sola con Marlene, la sua assistente apparentemente muta, la quale accetta i maltrattamenti e la severità della "padrona" senza battere ciglio. I due matrimoni di Petra sono finiti con la morte del primo marito e con il divorzio dal secondo; entrambi la hanno segnata profondamente. Un'amica le fa conoscere Karin, una ragazza giovane e bellissima, della quale Petra si innamora profondamente. Le due portano avanti una relazione ma col tempo Karin è sempre più fredda e crudele, e inizia a trattare Petra con sadismo, così come ella fa con Marlene. Ad un certo punto Karin lascia Petra per un uomo e questa cade in una profonda disperazione.
La domanda che bisogna porsi prima di vedere la seguente, cruciale scena del film è: quali sono le peculiarità del linguaggio cinematografico rispetto a quello letterario? Per esempio: come possono uno scrittore e un regista descrivere una persona che sta mentendo ad un'altra? Per quanto riguarda il primo, esso può ricorrere ad un narratore onniscente e, dopo che il personaggio ha terminato il suo racconto menzognero, scrivere ad esempio "Mentiva, sapendo di mentire." Noi lettori leggeremmo tutto ciò e capiremmo in maniera molto naturale ciò che l'autore vuole comunicarci.
Da questo punto di vista il linguaggio cinematografico è meno potente. E' possibile anche in questo caso inserire una voce fuori campo che, su un fermo immagine della protagonista, ci dice esattamente la stessa cosa. Risulterebbe però, al contrario del libro, notevolmente più pesante (ed è il motivo per cui molto spesso i narratori onniscenti nei film in realtà sono personaggi del film stesso) oltre che banale.
In questa scena Petra sta spiegando all'amica com'è terminato il suo secondo matrimonio. Guardiamo prima la scena e poi vediamo di commentarla. Purtroppo sono riuscito a trovare solo il film (quantomeno in HD) in ungherese, ma sottotitolato in inglese. La scena va da 21.39 a 30.20. Per inserire i sottotitoli è necessario cliccare sull'icona della rotella in basso a destra.
Da notare immediatamente l'utilizzo dello specchio (tecnica che userà anche in altri film), che ci permette di vedere sia il volto di Petra che dell'amica, attonita dopo la notizia, in un'unica sequenza, senza dover operare stacchi di montaggio. E ci fa capire, anche dall'abbigliamento, come Petra, che sembrava così legata al marito, sia in realtà disinibita e libertina, a differenza dell'amica, ben più bigotta, avvolta nel suo bigotto visone vero. Seguendo il dialogo ci riconduciamo all'iniziale discorso sull'illusione dei rapporti e del matrimonio, che fallisce non tanto per motivi "pratici" come il tradimento, in quanto i due cercavano il piacere reciproco sopra ogni cosa, quanto per motivi che verrano spiegati dopo.
Eppure, proprio mentre Petra dice che la rottura non è dovuta a eventi o persone esterne (22.53), giunge proprio una persona esterna alla scena, ovvero l'assistente. Questo arrivo è ben sottolineato da entrambe le protagoniste: via lo specchio che ci dava le immagini di entrambe, sguardi puntati su di lei, telecamera che indugia sul suo volto. Coincidenze?
Il tè viene servito e "l'intrusa" si rimette al lavoro in secondo piano. Il discorso tra le due prosegue, con Petra che insiste nel dire che non c'è motivo di proseguire una relazione se i partner devono costringersi in cliché, in "ruoli" e che si è spezzato in realtà un sogno di voler rendere perfetto un amore, a cui seguono le finto-realistiche quanto bigotte (l'ho già detto?) risposte dell'amica.
Ed ecco che a 27.19 parte un geniale, lentissimo carrello, che progressivamente inserisce l'inserviente-disegnatrice in mezzo alle due protagoniste, al punto che, a 28.31, giunge al suo culmine, con l'amica che si riposa sul letto in realtà per far vedere nella stessa inquadratura Petra e l'inserviente. Noi sappiamo che Petra sta parlando all'amica, il suo sguardo è rivolto in basso a sinistra, eppure, nella scena, che dura alcuni minuti, c'è anche l'inserviente, teoricamente estranea. Perché?
Proprio mentre Petra sta spiegando i motivi che hanno portato al divorzio, ecco che l'inserviente diventa protagonista, smettendo di dipingere e girandosi verso di lei (29.18), con la camera che pian piano va a catturare il suo sguardo avvilito. E da qui, noi capiamo che Petra sta mentendo all'amica.
Guardando il resto della pellicola, capiremo il reale orientamento sessuale di Petra (omosessuale) e che la vera causa del suo divorzio è stato proprio questo: una relazione clandestina con la sua inserviente (donna).
La chiusa di questa scena magistrale è però il vero capolavoro. A 30.01 c'è uno stacco focale molto evidente, sfoca l'inserviente e ci riporta (dopo qualche secondo) sul volto di Petra perfettamente a fuoco; teoricamente questo sarebbe un enorme errore tecnico, un po' come guardare in camera per l'attore. O lo stacco è rapido, oppure si toglie il fuoco dall'inserviente e si passa a Petra anch'essa sfocata, per poi rimetterle il fuoco successivamente, ma non si toglie il fuoco per un lungo tempo da un personaggio e si stacca su un altro perfettamente a fuoco!
Ovviamente non si tratta di un errore, ma di un espediente cinematografico (impossibile con il linguaggio letterario) a dimostrare quanto a Petra, che sa bene il vero motivo del divorzio, non interessi minimamente la sua inserviente con cui ha avuto una relazione; la sua sfacciataggine è evidente nelle parole che sta rivolgendo all'amica (bugie), la durezza del suo cuore lo è in questo splendido passaggio focale.
Fassbinder, con due tecniche semplicissime e note sin dagli albori del cinema (movimento di camera e inquadratura dei personaggi), utilizzate però in maniera straordinariamente sapiente ed innovativa, coglie gli aspetti peculiari del linguaggio cinematografico, esaltandolo, rendendolo univoco, raffinato e potente.
Martha (1974)
Wikipedia: Marta è una giovane donna che lavora presso la biblioteca di Costanza, in Germania. Durante un viaggio in Italia rimane orfana del padre che si accascia, colpito da infarto, sulla scalinata di Trinità dei Monti. Poco dopo intravede un uomo di sfuggita. Il loro sguardo, che si incrocia per un attimo, fissa il triste destino dell'ignara Martha.
Tornata in Germania, viene a conoscere Helmut, un uomo all'apparenza perfetto: un buon lavoro nell'industria del cemento, una bella casa, parole giuste per ogni occasione, tanto che risulta anche noioso. Egli non è altro che l'uomo intravisto all'inizio. I due si sposano e la donna è inizialmente felice. Tuttavia l'eccessiva "normalità" dell'uomo si rivela piano piano repressiva nei confronti di Martha, che viene sottoposta a una continua violenza psicologica, ed Helmut arriva anche a violentarla. Martha viene plasmata: per gelosia il marito arriva a proibirle persino di uscire di casa. Inoltre, infuriato per i suoi gusti musicali (lei ama Donizetti come il padre mentre il marito vuole imporle Orlando di Lasso, meno "svenevole" secondo i suoi gusti) e perché non ha apprezzato un libro sull'industria del cemento che le è stato imposto, abbandona la casa per qualche giorno, trovando al ritorno i desideri realizzati.
Martha precipita progressivamente in una forma di terrore misto a follia, cui fa da pendant la condotta del marito, per il quale la moglie è sostanzialmente il mobile più prezioso e piacevole della sua bella ed austera casa, oltre che una delle fonti della rispettabilità della sua posizione in società.
Martha è paralizzata, succube senza motivo di un uomo che ormai sembra essere arrivato a possederla totalmente, privandola di ogni volontà autonoma. La scena forse più intensa è quella in cui la reclusa Martha, spesso lasciata sola dal marito fuori per lavoro, decide di comprare un gatto per sentire la vicinanza di un essere vivente. Helmut le fa poi trovare morta la povera bestia, e Martha, china a terra sul corpo esanime dell'animale e in preda alla disperazione, viene violentemente presa da Helmut che la possiede "con passione".
Martha, piena di graffi in viso, vorrebbe raccontare le violenze subite ad un'amica, ma non ci riesce, perché pensa che non le crederebbe. L'ultima speranza è un amico che si era offerto di aiutarla e che lei tenta disperatamente di contattare. Trovatolo, è in preda al terrore ed è convinta che il marito la stia seguendo. Saliti in macchina, accelerano perché Martha crede che l'automobile del marito la stia seguendo (ma in realtà si tratta di un veicolo che nulla ha a che fare con la vicenda), e nell'incidente che ne deriva l'amico di Martha muore e lei perde l'uso delle gambe.
Ultima scena: Martha è nel letto di ospedale. L'infermiera le dà la triste notizia lasciandole però intendere che per fortuna avrà sempre al suo fianco un marito irreprensibile e premuroso come Helmut (che, non abbandonandola, rivela una fedeltà che potremmo dire morbosa).
Una delle scene più note girate da Fassbinder è proprio l'incontro iniziale tra i due protagonisti, a cui seguirà una tragica storia d'amore sadomasochista.
Lo sguardo tra i due si trasforma in un inviluppo incessante, un colpo di fulmine tramutato in spire avvolgenti ma anche vagamente sinistre, che presagisce quanto i due, in futuro si troveranno dipendenti l'uno dall'altro, senza possibilità d'uscita. L'effetto è reso talmente alla perfezione che i protagonisti sembrano girare su se stessi, quasi ballassero un valzer. In realtà stanno semplicemente camminando in direzioni opposte, si incontrano, si guardano e passano oltre. La camera però, gira attorno a loro in maniera talmente rapida e precisa da creare un clamoroso effetto a spirale; un effetto che crea e insieme sottolinea lo sconvolgimento dei due dovuto a quell'incontro e, parallelamente, quello di noi spettatori.
Curioso è notare come il passo "effeminato" accennato da Bohm a 0.49 sia dovuto alla sua necessità di scavalcare un ostacolo: è in effetti il carrello che ha permesso di girare questa scena circolare.
Una probabile "auto-citazione" di questa scena è presente anche in Roulette Cinese del 1976, in cui un becero rapporto di coppia tra borghesi, rovinato da anni di menzogne e tradimenti, si rinfranca (grazie ad una tragedia) nel finale con questa splendida sequenza, che vede i due prima avvolti in una spirale cinematografica, poi abbracciarsi calorosamente. Un abbraccio che però è una farsa, è tardivo e nemmeno sincero, considerando il passato dei due; Fassbinder ce lo sottolinea chiaramente, in quanto la camera smette di ruotare proprio quando, a 1.19.53, l'angolo della vetrina si frappone tra i due "amanti", indugiando su questa separazione visivo-metaforica.
Una probabile "auto-citazione" di questa scena è presente anche in Roulette Cinese del 1976, in cui un becero rapporto di coppia tra borghesi, rovinato da anni di menzogne e tradimenti, si rinfranca (grazie ad una tragedia) nel finale con questa splendida sequenza, che vede i due prima avvolti in una spirale cinematografica, poi abbracciarsi calorosamente. Un abbraccio che però è una farsa, è tardivo e nemmeno sincero, considerando il passato dei due; Fassbinder ce lo sottolinea chiaramente, in quanto la camera smette di ruotare proprio quando, a 1.19.53, l'angolo della vetrina si frappone tra i due "amanti", indugiando su questa separazione visivo-metaforica.
Ho riportato 2 film su 5 visionati durante la serata (Lola, Roulette cinese, Effi Briest sono le altre tre pellicole scelte da Sproccati) e la produzione di Fassbinder supera abbondantemente i 30. La pochezza di queste righe è dunque notevole, ma a mio parere si tratta un cinema di indubbia qualità ed interesse, che spero di riuscire ad approfondire e di trattare nuovamente.
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