Cosa ascoltavo prima? Principalmente reggae e musica giamaicana. Sprazzi di soul, funk. Tutta musica che presentava un groove robusto e ben piazzato su bassi profondi. Era un periodo in cui temevo di non capire nulla di jazz, che fosse necessario possedere conoscenze musicali storico-tecniche molto raffinate. Cosa che in parte è vero, come per tutte le arti, più ne sai, meglio te le godi. Eppure percepivo che nel jazz c'era molto di ciò che ricercavo dall'ascoltare musica.
Un altro ostacolo verso questi ascolti era dovuto alla discografia sterminata, alla presenza di musicisti famosi e molto ingombranti, a suo tempo visti tutti come pari, tipo Miles Davis, John Coltrane, Charlie Parker, ecc.. Da chi cominciare? E perché? Meglio fare un percorso cronologico o stilistico?
Ho cominciato da quei due dischi abbastanza per caso e negli anni, come a macchia d'olio, facendo collegamenti tra i musicisti che han suonato con questo o con quello, sono arrivato a delineare qualche contorno (storico e stilistico) di questa musica, cercando sempre di privilegiare ciò che più si avvicinasse ai miei gusti ma anche di dar spazio a quei dischi che sono considerati imprescindibili nella storia del jazz.
Dopo anni di ascolto, ho capito che la nota risposta data da Louis Armstrong alla domanda "Che cos'è il jazz?", ovvero "Se hai bisogno di chiedere cos'è il jazz, non lo saprai mai" è in buona parte azzeccata: è molto complicato definire questa musica attraverso degli stilemi strumentali (si fa jazz con buona parte degli strumenti inventati dall'uomo), tecnici (coesistono sia la raffinata armonia classica con le più animalesche dissonanze), timbrici o anche più semplicisticamente di sensazioni provate. Nel jazz c'è veramente di tutto, basta ascoltarne un po' per capirlo.
Esistono dei luoghi comuni angoscianti: musica afro-americana, musica basata sull'improvvisazione, musica dove c'è un sax o un contrabbasso suonato senza archetto, musica da aperitivo o da ristorante elegante, e così via...
Eppure tutti i luoghi comuni, per quanto errati, hanno un fondo di verità: su dieci ascolti tipicamente "jazz", in nove si può sentire il batterista picchiare sul ride (il piatto grande che solitamente il batterista tiene alla sua destra) o sull'hi-hat (più noto come "charleston") in un modo inconfondibile (che è poi lo swing), il bassista, spesso con contrabbasso (strumento altrimenti usato in musica classica o nel folk e in pochi altri contesti acustici) suonare una nota ogni battito (il walking bass), notare la presenza di strumenti a fiato (anch'essi "emancipati" dalle orchestre di musica classica, come il sax o la tromba), un'alternanza più o meno equilibrata di assoli (improvvisazione) in cui, le prime volte, ci pare che i musicisti suonino a caso, un evidente richiamo a modi di fare, lingue ("yeah" scandito dal pubblico o da un musicista sul palco) e movenze che sono lontane dai nostri modi di fare ma che vengono presi in prestito per sentirsi più "parte di questo qualcosa", risate e sguardi di scambio tra i musicisti (che sottolineano l'interplay tra di loro), locali tipicamente eleganti (almeno di facciata..) e possibilmente costosi, spruzzate di radical chic sinistroide e così via...
E' difficile definire il jazz, in quanto PER DEFINIZIONE ha fagocitato tutto ciò che si metteva sul suo cammino (musica classica, gospel, blues, funk, musica africana, brasiliana, asiatica, pop, rock, hip hop, ... e l'elenco è davvero interminabile). E' più semplice definirne i contorni, i luoghi comuni e, per comodità, trovare delle cose che storicamente si sono ripetute per poterne tirare le fila, affermare "questo è jazz", "sto ascoltando jazz", "sto suonando jazz" e così via...
Un discorso che, paragonato che so alla questione dei migranti, risulta insignificante e frutto di una mente che ha poco su cui riflettere. Eppure attorno a questa faccenda ci girano milioni di euro di show business. Esistono musicisti strapagati, milionari, bravi tanto quanto altri, storici e importanti tanto quanto altri che invece impallidirebbero nel vedere gli assegni dei primi. Questo molto spesso è dovuto al fatto che questi primi suonano quello che il pubblico conosce, crede di conoscere, ha già sentito, mentre i secondi si sforzano a ricercare ancora qualcosa di diverso, insolito, non sentito, "stupefacente".
Chi fa jazz e chi no? Il jazz è una musica che vive e si nutre del diverso, dell'estemporaneo e del contemporaneo, dell'innovazione. Già il fatto che sia da qualche anno all'interno di un'istituzione chiamata "conservatorio" è un paradosso vivente. Forse è anche per questo che alcuni oggi dicono che questa musica, come tante musiche, sia morta. In parte questo è vero.
Chi fa jazz e chi no? Il jazz è una musica che vive e si nutre del diverso, dell'estemporaneo e del contemporaneo, dell'innovazione. Già il fatto che sia da qualche anno all'interno di un'istituzione chiamata "conservatorio" è un paradosso vivente. Forse è anche per questo che alcuni oggi dicono che questa musica, come tante musiche, sia morta. In parte questo è vero.
Per esempio, seguendo la biografia di questa musica, probabilmente oggi un jazzista sarebbe davvero tale se facesse i conti con la musica techno! John Coltrane ha sollevato un polverone enorme quando, negli anni '60, ha cominciato a suonare delle musiche assolutamente allucinate e allucinanti, usando prettamente scale modali e pentatoniche (tra le più antiche che si conoscono), liberandosi del giogo dell'armonia (il frutto della musica vissuta e studiata "razionalmente" dagli europei) e dando il via a quella felice e sempre fertile era del "free jazz". Molti dei suoi ascoltatori hanno definito quelli gli album più brutti della sua carriera (su tutti Wynton Marsalis), altri li considerano seminali. Miles Davis ha sollevato un polverone enorme quando ha unito la sua musica ai sintetizzatori. Molti dei suoi ascoltatori hanno definito quella fase la più brutta della sua carriera, altri, per quanto leggermente in imbarazzo, non possono far altro che notare come Miles sia stato sempre un passo avanti a tutti in ogni fase della sua mirabolante storia di uomo e di artista.Ricorda un po' la vicenda di quando Bob Dylan "elettrificò" la sua chitarra e il suo sound e la gran parte dei suoi numerosissimi fan gridò al tradimento.
Questo, quelli sopracitati e in generale i punti di frattura tra un artista ben affermato e il suo pubblico (che poi significa anche con una buona fetta del suo reddito e lo scombussolamento di produttori, agenzie di stampa, pubblicità e tutto ciò che ci campa grazie alle sue opere e che punta al successo costante e alla stabilità) è, secondo il mio modesto parere, ciò che più si avvicina all'essere "jazz".
Credo che il jazz viva innanzitutto di ironia e creatività ed è per questo che ritengo sia una musica così affascinante. E' una lotta costante dell'artista nei confronti del comodo, del già fatto e già sentito, della noia, del conservatorismo, dell'appiattimento culturale, del pubblico "pagante" (che quindi deve avere sempre ragione), delle convenzioni, della moda. Una ricerca verso la Verità, verso se stessi, verso le proprie radici. Uno scavare interiormente verso quel bambino giocoso che tutti possediamo, limitato in un goffo, ingombrante e problematico corpo da adulto. Il tutto possibilmente fatto con una tecnica strumentale fuori dall'ordinario, con un suono unico, che descriva perfettamente la propria personalità, a velocità di metronomo folli, mantenendo un controllo e un'eleganza impeccabili.
https://youtu.be/iSY2WeKw3Yk