lunedì 28 settembre 2015

Cos'è per me il jazz

Sarà stato il 2010 più o meno in cui mi sono imbattuto in due dischi di Dizzy Gillespie, "Gillespiana: live at Carnegie Hall" con la sua orchestra e "Diz & Getz" in coppia con Stan Getz e da quel momento ho capito che di quella musica dovevo saperne il più possibile. Ha radicalmente trasformato il mio modo di ascoltare, suonare, di emozionarmi, di vivere la musica stessa.
Cosa ascoltavo prima? Principalmente reggae e musica giamaicana. Sprazzi di soul, funk. Tutta musica che presentava un groove robusto e ben piazzato su bassi profondi. Era un periodo in cui temevo di non capire nulla di jazz, che fosse necessario possedere conoscenze musicali storico-tecniche molto raffinate. Cosa che in parte è vero, come per tutte le arti, più ne sai, meglio te le godi. Eppure percepivo che nel jazz c'era molto di ciò che ricercavo dall'ascoltare musica.
Un altro ostacolo verso questi ascolti era dovuto alla discografia sterminata, alla presenza di musicisti famosi e molto ingombranti, a suo tempo visti tutti come pari, tipo Miles Davis, John Coltrane, Charlie Parker, ecc.. Da chi cominciare? E perché? Meglio fare un percorso cronologico o stilistico?
Ho cominciato da quei due dischi abbastanza per caso e negli anni, come a macchia d'olio, facendo collegamenti tra i musicisti che han suonato con questo o con quello, sono arrivato a delineare qualche contorno (storico e stilistico) di questa musica, cercando sempre di privilegiare ciò che più si avvicinasse ai miei gusti ma anche di dar spazio a quei dischi che sono considerati imprescindibili nella storia del jazz.

Dopo anni di ascolto, ho capito che la nota risposta data da Louis Armstrong alla domanda "Che cos'è il jazz?", ovvero "
Se hai bisogno di chiedere cos'è il jazz, non lo saprai mai" è in buona parte azzeccata: è molto complicato definire questa musica attraverso degli stilemi strumentali (si fa jazz con buona parte degli strumenti inventati dall'uomo), tecnici (coesistono sia la raffinata armonia classica con le più animalesche dissonanze), timbrici o anche più semplicisticamente di sensazioni provate. Nel jazz c'è veramente di tutto, basta ascoltarne un po' per capirlo.
Esistono dei luoghi comuni angoscianti: musica afro-americana, musica basata sull'improvvisazione, musica dove c'è un sax o un contrabbasso suonato senza archetto, musica da aperitivo o da ristorante elegante, e così via...
Eppure tutti i luoghi comuni, per quanto errati, hanno un fondo di verità: su dieci ascolti tipicamente "jazz", in nove si può sentire il batterista picchiare sul ride (il piatto grande che solitamente il batterista tiene alla sua destra) o sull'hi-hat (più noto come "charleston") in un modo inconfondibile (che è poi lo swing), il bassista, spesso con contrabbasso (strumento altrimenti usato in musica classica o nel folk e in pochi altri contesti acustici) suonare una nota ogni battito (il walking bass), notare la presenza di strumenti a fiato (anch'essi "emancipati" dalle orchestre di musica classica, come il sax o la tromba), un'alternanza più o meno equilibrata di assoli (improvvisazione) in cui, le prime volte, ci pare che i musicisti suonino a caso, un evidente richiamo a modi di fare, lingue ("yeah" scandito dal pubblico o da un musicista sul palco) e movenze che sono lontane dai nostri modi di fare ma che vengono presi in prestito per sentirsi più "parte di questo qualcosa", risate e sguardi di scambio tra i musicisti (che sottolineano l'interplay tra di loro), locali tipicamente eleganti (almeno di facciata..) e possibilmente costosi, spruzzate di radical chic sinistroide e così via...

E' difficile definire il jazz, in quanto PER DEFINIZIONE ha fagocitato tutto ciò che si metteva sul suo cammino (musica classica, gospel, blues, funk, musica africana, brasiliana, asiatica, pop, rock, hip hop, ... e l'elenco è davvero interminabile). E' più semplice definirne i contorni, i luoghi comuni e, per comodità, trovare delle cose che storicamente si sono ripetute per poterne tirare le fila, affermare "questo è jazz", "sto ascoltando jazz", "sto suonando jazz" e così via...


Un discorso che, paragonato che so alla questione dei migranti, risulta insignificante e frutto di una mente che ha poco su cui riflettere. Eppure attorno a questa faccenda ci girano milioni di euro di show business. Esistono musicisti strapagati, milionari, bravi tanto quanto altri, storici e importanti tanto quanto altri che invece impallidirebbero nel vedere gli assegni dei primi. Questo molto spesso è dovuto al fatto che questi primi suonano quello che il pubblico conosce, crede di conoscere, ha già sentito, mentre i secondi si sforzano a ricercare ancora qualcosa di diverso, insolito, non sentito, "stupefacente".
Chi fa jazz e chi no? Il jazz è una musica che vive e si nutre del diverso, dell'estemporaneo e del contemporaneo, dell'innovazione. Già il fatto che sia da qualche anno all'interno di un'istituzione chiamata "conservatorio" è un paradosso vivente. Forse è anche per questo che alcuni oggi dicono che questa musica, come tante musiche, sia morta. In parte questo è vero.
Per esempio, seguendo la biografia di questa musica, probabilmente oggi un jazzista sarebbe davvero tale se facesse i conti con la musica techno! John Coltrane ha sollevato un polverone enorme quando, negli anni '60, ha cominciato a suonare delle musiche assolutamente allucinate e allucinanti, usando prettamente scale modali e pentatoniche (tra le più antiche che si conoscono), liberandosi del giogo dell'armonia (il frutto della musica vissuta e studiata "razionalmente" dagli europei) e dando il via a quella felice e sempre fertile era del "free jazz". Molti dei suoi ascoltatori hanno definito quelli gli album più brutti della sua carriera (su tutti Wynton Marsalis), altri li considerano seminali. Miles Davis ha sollevato un polverone enorme quando ha unito la sua musica ai sintetizzatori. Molti dei suoi ascoltatori hanno definito quella fase la più brutta della sua carriera, altri, per quanto leggermente in imbarazzo, non possono far altro che notare come Miles sia stato sempre un passo avanti a tutti in ogni fase della sua mirabolante storia di uomo e di artista.Ricorda un po' la vicenda di quando Bob Dylan "elettrificò" la sua chitarra e il suo sound e la gran parte dei suoi numerosissimi fan gridò al tradimento. 
Questo, quelli sopracitati e in generale i punti di frattura tra un artista ben affermato e il suo pubblico (che poi significa anche con una buona fetta del suo reddito e lo scombussolamento di produttori, agenzie di stampa, pubblicità e tutto ciò che ci campa grazie alle sue opere e che punta al successo costante e alla stabilità) è, secondo il mio modesto parere, ciò che più si avvicina all'essere "jazz".
Credo che il jazz viva innanzitutto di ironia e creatività ed è per questo che ritengo sia una musica così affascinante. E' una lotta costante dell'artista nei confronti del comodo, del già fatto e già sentito, della noia, del conservatorismo, dell'appiattimento culturale, del pubblico "pagante" (che quindi deve avere sempre ragione), delle convenzioni, della moda. Una ricerca verso la Verità, verso se stessi, verso le proprie radici. Uno scavare interiormente verso quel bambino giocoso che tutti possediamo, limitato in un goffo, ingombrante e problematico corpo da adulto. Il tutto possibilmente fatto con una tecnica strumentale fuori dall'ordinario, con un suono unico, che descriva perfettamente la propria personalità, a velocità di metronomo folli, mantenendo un controllo e un'eleganza impeccabili.


https://youtu.be/iSY2WeKw3Yk

sabato 26 settembre 2015

Il Blues cap. I - Accordi di dominante

Il blues è una delle forme musicali più immediate da riconoscere, si è diffuso globalmente e ha influenzato un'enorme quantità di artisti e di generi musicali e può essere considerato l'esempio più noto di musica popolare afroamericana.

Al di là delle numerosissime forme che possono rientrare nel grande calderone di questo genere musicale (è troppo semplicistico e penso anche errato definire, come fa wiki, che "la forma originale è caratterizzata da una struttura ripetitiva di dodici battute", dato che parliamo di una musica nata e diffusasi oralmente per decine di anni prima di essere stampata, per cui è impossibile pensare che sia nata con un numero di battute ben noto e costante), ci sono alcuni elementi identificativi pressoché comuni:



- gli accordi di "dominante"
- i "gradi" di questi accordi
- le "blue notes"


Vediamo punto per punto.

Gli accordi di dominante

Sono accordi caratterizzati da quattro note suonate contemporaneamente e vengono generalmente indicati con la sigla dell'accordo e il numero 7 a fianco, nominati "accordi di settima" o "accordi di dominante"  (es: Do settima = Do7). Queste note sono:

1) La tonica (1)
2) La terza maggiore (3M)
3) La quinta (5)
4) La settima minore (7b, con la b di bemolle per far capire che si tratta della settima abbassata di un bemolle, cioè di un semitono)

Per esempio se prendiamo le note della scala di Do, cioè tutti i tasti bianchi della tastiera

Do, re, mi fa sol, la, si

possiamo numerare le sette note della scala

Do, re, mi, fa, sol, la, si
1  , 2  , 3  , 4  , 5  , 6 , 7

e di queste sette prendiamo quelle 4 elencate prima, ovvero

Do    Mi    Sol    Sib (ovvero il Si abbassato di un semitono)

che suonate insieme costituiscono l'accordo di dominante Do7.
Un esempio: 
https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/7/70/Septymowo_dominanta.ogg

Gli accordi di dominante hanno un suono riconoscibilissimo, sono infatti accordi "sospesi" poiché la presenza di quella settima minore o bemolle conferisce una sensazione di respiro strozzato in gola, come essere sul ciglio di un trampolino prima che qualcuno ci butti in piscina... creano quella che si definisce una "tensione", percepibile anche fisicamente. Deve succedere qualcosa per sentirsi rilassati, "a casa" come amano dire i musicisti.

Quello che succede nell'armonia classica europea (e NON nel blues, cosa che appunto fa assurgere questo discorso sugli accordi di dominante uno dei punti chiave di questa musica) è che questi accordi devono assolutamente essere "risolti", cosa che in genere avviene così:

https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/0/07/V7-I_resolution.mid

Quello che si sente è lo stesso accordo di dominante ripetuto tre volte che "risolve" sull'accordo di tonica. Che cos'è un accordo di tonica? E' quello che definisce la tonalità del pezzo, la "casa" appunto. Esempio tipico, mai sentito "sonata in do maggiore del ceffo taidei tali"? Il Do maggiore è appunto l'accordo di tonica.

Nell'armonia classica europea, la tonalità del pezzo, cioè l'accordo di tonica è un vero e proprio centro gravitazionale, come il sole rispetto ai suoi pianeti: tutti gli accordi che si sentono nel brano sono definiti e posizionati in funzione di quell'accordo di tonica, che ci definisce, anche in maniera emotiva, una situazione di stabilità del brano. In questo modo le sensazioni che si generano (inquietudine come gioia, potenza come calma, terrore come ironia....) sono in gran parte dovute al rapporto coesistente tra quest'accordo "mamma" o "casa" e tutti gli altri altri che attorno ad esso è possibile costruire per creare effetti e colori diversi.

Il secondo audio, quello dei tre dominanti che risolvono, definisce appunto la tipica risoluzione di quella tensione posseduta dall'accordo di dominante: la risoluzione sull'accordo di tonica. Questa risoluzione è talmente "necessaria", quasi scontata, al punto che questo movimento (dominante a cui segue tonica) prende il nome di "cadenza perfetta" ed è la maniera con cui chiude in genere un brano di musica classica.

Tutto questo per dire che nel blues questo non succede: l'accordo di dominante non risolve, non va da nessuna parte, quella tensione rimane così com'è senza giungere al suo accordo di tonica. Tra le tante strutture del blues, una delle più semplici è costituita da 3 accordi, Do, Fa e Sol. Al di là delle strutture però, di cui parlerò nel prossimo capitolo, è importante notare che sono 12 battute di SOLI accordi di dominante, uno per battuta:

Do7  | Do7  | Do7  | Do7  |

Fa7  | Fa7  | Do7  | Do7  |

Sol7  | Sol7  | Do7  
| Do7  |

Ormai, dopo decenni di ascolti e diffusione di questa musica, il nostro orecchio si è abituato a sentire gli accordi di dominante quasi come stabili (non come trecento anni fa, in cui se in una partitura un accordo di dominante non veniva risolto su un accordo di tonica si era espulsi e derisi in qualsiasi scuola di musica...).

Eppure questa scelta armonica, una tensione che non va da nessuna parte ma anzi è seguita da un altro accordo di tensione anziché da uno di risoluzione, ha comportato una rivoluzione fondamentale nei gusti, nelle orecchie, nelle musiche e di conseguenza nelle vite di tante persone. Ancor'oggi, nonostante non ci risulti così strano che un accordo di dominante sia seguito da un altro di dominante (abituati da tanti ascolti rock e di derivati), quindi non risolto, questa scelta ci fa percepire il colore della musica che stiamo ascoltando: un blues o un jazz. Ci porta alla mente campi di cotone e schiavi africani, cantastorie rovinati dalla vita, alcolici e polvere da sparo... ma anche fumosi locali, cocktail lisci, cappelli e impermeabili, eleganza mascolina, un'America che tutti almeno una volta abbiamo sognato e che è possibile ritrovare visivamente nella splendida serie AMC "Mad Man".

La chiave del blues, non solo musicale, intendo proprio a livello stilistico e anche "filosofico" è dunque una dissonanza reiterata. Qualcosa che va esattamente nella direzione opposta del concetto stesso di "armonia", quella europea, in cui è invece la consonanza, l'ordine, la perfezione, la spinta verso il puro e il celestiale a dettare legge e a spingere i compositori a comporre.
Probabilmente è anche per questo che il blues è fin dalla sua nascita e nell'immaginario comune la musica ritenuta "del diavolo", generata da cantastorie, ladri, ubriaconi (a proposito di questo tema consiglio questa raccolta di blues pre- e post-carcere: 
http://www.amazon.it/dp/B007549L9K), suonata in sudici locali da sgangherati musicisti, genitrice del rhythm&blues e del rock, musiche ad alto tasso danzereccio, promiscue ed erotiche. 
Personalmente ritengo sia questa la spiegazione del suo fascino misterioso, del suo magnetismo. Come un brivido che ci percorre ogni volta che stiamo per fare qualcosa di errato o di pericoloso (agli occhi del mondo o più semplicemente della nostra coscienza), il blues genera un misto di sensazioni, di atmosfere, di ricordi. Saranno le non-risoluzioni, le stonature volute delle "blue notes" (di cui poi parlerò), questo camminare sul filo tra l'artista e il dilettante della musica, l'improvvisazione senza alcun canovaccio scritto...
E' una musica che non appartiene alla nostra storia, è qualcosa di prettamente americano e più specificamente afro-americano. Eppure ci è magicamente famigliare, come se risollevasse qualcosa che è dentro di noi, impolverato da anni di moralismi e "culture ufficiali".

Nel 1929 una delle figure più importanti di questa musica, specialmente del cosiddetto "Delta Blues", ovvero Charley Patton, registra le sue magiche dissonanze reiterate e non risolte, sia con la voce che con la chitarra, storcendo, piegando, "stonando", addomesticando le note al favore delle sue emozioni e delle nostre.

https://youtu.be/JZ1zOarIoEA

Post 0 - Cultural Radar

Questo blog nasce da una personale necessità di ricercare persone interessate e sensibili agli argomenti qui trattati.

Dopo alcuni anni in cui ho speso piccole o grandi parti delle mie giornate a leggere, ascoltare, visualizzare e studiare molteplici argomenti, ho cominciato a delineare i contorni dei miei gusti e delle mie passioni. Provo a parlarne su questa piattaforma pubblica, convinto del fatto che esistano tante persone che possiedono una sensibilità simile alla mia, con cui ho intenzione di disquisire e cercare nuovi elementi di riflessione.

Credo che questo periodo storico sia caratterizzato da una scarsa "qualità emotiva". Si sperimentano emozioni grossolane ("tristezza", "felicità", "odio", "amore", "apatia"...); non ci si interroga a sufficienza sul perché certe cose colpiscono proprio noi e non altri; non si rapporta la causa con la nostra biografia, unica per definizione; è molto difficile definire in maniera puntuale un sentimento con tutte le sue sfaccettature e senza semplificare, al fine di farsi capire; si delinea una curiosa contraddizione tra l'importanza assunta dalle decisioni prese "istintivamente" (che, non si capisce perché, al giorno d'oggi sembra siano le uniche a cui dobbiamo dare ragione, a scapito delle scelte razionali e ponderate, viste come "filtrate" e non sincere) e la sempre più debole volontà di "vivere per emozionarsi", un abbandono totale alle sensazioni e alla bellezza, un godimento gratuito e senza scopo, un distacco dal materiale, dal pratico, dal necessario.

Questa piattaforma vuole essere invece un punto di incontro tra persone che coltivano la propria curiosità in maniera totalmente gratuita, appagate solo dalla soddisfazione ricevuta dal comprendere qualcosa, dallo sperimentare qualcosa, senza per forza doverlo mettere in pratica. Un punto di incontro, ma anche un "motore di ricerca" nello sconfinato universo del web, attraverso cui desidero captare intelligenze a me sconosciute, come un radar appunto.


Parlerò specialmente di musica, il tema che più mi è famigliare, ma anche di scienze, storia, cinema, sport, politica, economia, arte e più in generale tutto ciò che mi spinge a volerne apprendere sempre più.

Francesco Zaccanti